MEMORIE DI UN SOLDATO
di Lorenzo Trenti (lollo@gdr.net)


"Allarme sul ponte ologrammi!", gridò il guardiamarina in uniforme gialla.
Kernel, il capitano della USS Crusader, corse verso di lui. "Rapporto."
"Rilevo segnali vitali in progressiva diminuzione."
"A chi appartengono?"
Il guardiamarina mosse agilmente le dita sulla consolle. "Tenente comandante Lars Yanek, signore." Il Primo Ufficiale della nave.
Kernel si girò verso la plancia, dove era appena entrato il tenente Raze, capo della sicurezza. "Raze, vada a vedere cos’è successo. Sembra che Yanek abbia qualche problema... faccia in fretta."
Raze obbedì senza dire nulla, e corse verso il ponte ologrammi. Pensava all’ironia della sorte. Non aveva mai sopportato l’autorità e non aveva mai sopportato i cardassiani. Era da poco stato assegnato alla USS Crusader, il cui Primo Ufficiale era un cardassiano burbero e perfezionista; e ora doveva pure salvarlo. Un paio di giovani guardiamarina avevano chiesto il riassegnamento su un’altra nave. "Incompatibilità caratteriale col comando", scrissero. Era stato necessario un lungo lavoro con il consigliere Dwandra per restituire loro un po’ di fiducia in se stessi.
Raze entrò nel ponte ologrammi, e si ritrovò su un pianeta alieno, rosso cupo. Due soli brillavano nel cielo, e il clima era molto secco.
"Computer, localizzare Yanek."
La voce artificiale rispose. "Soggetto localizzato. Due minuti a piedi in direzioni 54.3."
Raze vi si avviò a passo sostenuto. Da dietro a una roccia vide per un istante una sagoma umanoide da cui partì un fascio laser. Scansò velocemente il colpo buttandosi a terra e sparò a sua volta col phaser, centrando in pieno il suo bersaglio. Un Jem’Hadar.
"Ma certo", pensò. "Ti pare che il cardassiano passi i suoi momenti liberi a riposarsi? Deve allenarsi, migliorare le sue tecniche di guerriglia... deve dimostrare a se stesso che è il migliore..."
Ma interruppe i suoi pensieri quando scollinò e vide la scena davanti ai suoi occhi. Tre soldati cardassiani a terra, morti. Yanek, ferito a una gamba, stava tentando di trascinarsi su per la collina. Sulle rocce poco distanti si trovavano alcuni Jem’Hadar, anch’essi morti.
Mentre saliva la collina, il Primo Ufficiale sembrava animato da una volontà ossessiva, e a denti stretti, per il dolore, ringhiava "ne manca uno... ancora uno solo... solo uno... avanti..."
Raze scese verso di lui. "Signore, che succede?"
Yanek si fermò, ma continuò a guardare al di là della collina. "Ne manca uno. Un Jem’Hadar. Lo voglio."
"Senta, l’ho fatto fuori io pochi minuti fa. Sta sull’altro versante. Venga in infermeria, lei ha bisogno di urgenti cure mediche..."
Yanek finalmente parve calmarsi. Guardo verso l’alto, sospirando. "Computer, riattivare procedure di sicurezza."
Raze sgranò gli occhi. "E’ impazzito?!? Lei si allena contro una squadra di Jem’Hadar disattivando le procedure di sicurezza? Le piace rischiare la pelle?!? Potevo essere ucciso anch’io, prima! Dannazione!"
Ma Yanek cominciò a barcollare. Doveva aver perso troppo sangue, e cominciò ad afflosciarsi a terra. Raze fece il possibile per sostenerlo e gridò. "Teletrasporto d’emergenza in infermeria, per due. Attivare!"

Quando riaperse gli occhi, c’erano anche il signor T’Vai - l’ufficiale scientifico vulcaniano -, l’affascinante consigliere betazoide Dwandra, e il capo ingegnere Corley. In quel mentre giunse anche il capitano Kernel.
"Come sta?", chiese al medico olografico. La Crusader non aveva fatto in tempo a farsi assegnare un dottore in carne ed ossa.
"Sto bene, sto bene" tagliò corto Yanek. "Che ci fate tutti qui?"
"Non so gli altri", disse Dwandra con voce vellutata. "Per quel che mi riguarda la chiamerei attenzione nei suoi confronti. E’ pur sempre il nostro Primo Ufficiale."
Yanek sembrò quasi sorpreso. "Be’, ora sto bene. Vedrete che presto tornerò in servizio. Ora potete andare."
"Al tempo, Yanek." A parlare era stato il capitano. "La ritengo sospeso dal suo incarico finché non ci avrà spiegato perché ha disattivato le procedure di sicurezza sul ponte ologrammi, mettendo a rischio la sua vita e quella del tenente Raze."
Il silenzio che seguì parve durare un secolo. Yanek si riappoggiò pesantemente sul lettino e guardando verso il soffitto disse "Gli allenamenti in tutta sicurezza non sono allenamenti. Non dai mai il meglio di te se sai che in fondo ne uscirai sempre vivo. E’ il pericolo che fa venire fuori il nerbo di un soldato."
Raze si fece avanti, rosso in volto. "Non le credo! Non era un semplice allenamento, lo so bene!" Si girò verso gli altri. "Avreste dovuto vedere l’odio nel suo volto! Era ciecamente determinato a sterminare quei Jem’Hadar, anche a costo della sua stessa vita. Con tutto il rispetto..."
Fu interrotto da Yanek. "...con tutto il rispetto, lei non sa un bel niente! Nessuno di voi sa un bel niente di me! Che ne sapete di quel che ho passato?!?"
T’Vai si avvicinò al capitano e gli parlò in un orecchio. "Signore, posso tentare una fusione mentale per vedere cosa lo turba..." Il cardassiano udì il discorso e fissò il giovane vulcaniano negli occhi. "Non ci riusciresti, ragazzo", disse. "E comunque quel che vedresti non ti piacerebbe."
Dwandra prese una delle nodose mani di Yanek nella sua. "Perché non ci racconta lei cos’è successo?"
Il Primo Ufficiale deglutì, rimanendo a lungo in silenzio. "E sia."
Inspirò e finalmente iniziò a parlare. "Ho studiato sessantadue tattiche diverse per portare a termine quella missione sul ponte ologrammi. Nelle sessantuno precedenti non aveva funzionato. Stavolta avevo deciso di togliere le procedure di sicurezza, ma evidentemente non potevo cambiare un destino già scritto."
"E’ il motivo principale per cui ora sono su una nave della Federazione e non su una di classe Galor a schiavizzare bajoriani. Successe 14 anni fa, nel 2366..."

 


Il racconto di Yanek

Solo quando alzò la testa dal cuscino Damar si rese conto che due bottiglie di kanar erano troppe anche per lui. Il dolore alle tempie fu accecante e lo costrinse a stendersi di nuovo, imprecando contro se stesso e la sua debolezza.
Una mano pesante lo scosse. "Sveglia, soldato. E’ tempo di tornare a marciare."
Fu in quel momento, con la consapevolezza improvvisa che coglie quando ci si sveglia, che Damar si rese conto di non essere a casa sua, nel suo letto, e che ad averlo destato non era stata la voce di sua madre. Stropicciandosi gli occhi, cercò di mettere a fuoco il posto in cui si trovava, una tenda militare da sei di tessuto mimetico - ossia rosso fuoco, visto il colore del pianeta alieno su cui si trovavano.
Il sergente Lars Yanek diede un calcio bonario alla rozza branda del suo sottoposto. "Andiamo, ragazzo. Non vorrai che ti si accusi di essere una mammoletta, vero?" Continuò a girargli attorno, sperando che si levasse, ma senza effetto: Damar si limitava a tenersi la testa tra le mani, ancora stordito dalla sbornia della sera precedente. "Non... credo di essere nelle condizioni di marciare, Lars..."
Yanek aspettò ancora qualche istante, poi perse del tutto la pazienza. "Tanto per cominciare - disse afferrando Damar per le spalle - io per te sono il sergente Yanek. Secondariamente - e stavolta lo sollevò di peso - questo è un ordine, soldato Damar!"
Yanek camminò tenendo sulle spalle il soldato che continuava a lamentarsi, ed uscì dalla tenda. La luce rossa e accecante del tramonto del sole maggiore creava inquietanti ombre rosse. Yanek si avvicinò al ruscello vicino alle tre tende e vi gettò dentro Damar.
Annaspando nell’acqua, gridando per il freddo improvviso, Damar recuperò finalmente la lucidità, e con fatica si portò fino alla sponda. Mentre si sollevava, ansante e gocciolante, guardava Yanek con un misto di sorpresa e collera. Yanek colse la domanda inespressa negli occhi dell’altro e gli rispose: "Certo, oltre che soldato sei anche un mio amico, nonché il più giovane in questa truppa. Ma questo ovviamente non mi dispensa dal trattarti come avrei fatto con qualsiasi altro. Da decenni la mia famiglia educa i propri figli secondo i principi di disciplina dell’esercito Cardassiano." Fece un gesto vago verso se stesso. "Come vedi, con ottimi risultati."
Gli indicò un asciugamano poco distante. "Renditi presentabile e fai colazione, ci sarà adunata fra 5 minuti. Smonteremo le tende e procederemo con il favore delle tenebre verso il punto previsto." Recuperando il suo tono professionale, Yanek fece scomparire qualsiasi ombra di sorriso dal proprio volto. "Scat-ta-re!"

La marcia fu lunga ed estenuante. Chissà se Damar stava meditando sul proprio ingresso nell’esercito, pensò Yanek. Probabilmente quel giovane scavezzacollo lo aveva fatto per ammirazione nei suoi confronti. Ricordava ancora quando da ragazzi giocavano alla guerra, inseguendosi, tendendosi imboscate e colpendosi coi loro giocattoli; lo preferivano di molto ai lunghi processi in mondovisione che la pedagogia cardassiana imponeva come standard di educazione esemplare. Sai che noia. Molto meglio far finta di essere grandi comandanti. A quel tempo Yanek era il più grande e a lui spettava il ruolo di Gul; era lui a decidere le parti di tutti gli altri, spesso scegliendo Damar come suo luogotenente, nonostante fosse uno dei più piccoli. E anche adesso, in un certo senso, stavano giocando alla guerra. Damar era alla sua prima missione, era così giovane che un paio di volte lo si era sentito chiamare sua madre, di notte, la voce impastata dal sonno. Lo stesso Yanek era molto giovane per la carica che ricopriva, appena venticinque anni; e i suoi soldati erano tutti più giovani di lui. A volte si sentiva come se stesse vivendo in un sogno, o in uno strano olofilm, e stesse solo facendo finta di essere un sergente tutto d’un pezzo, sempre sicuro di dove avrebbe condotto la sua truppa. Ma questo era l’incarico che gli era stato affidato. Con un po’ di fortuna, avrebbero trovato l’impianto di trasmissione seguendo la mappa e l’avrebbero fatto saltare senza troppe difficoltà. Poi sarebbero tornati tutti a casa, sfilando come eroi tra due ali di folla.
Fu mentre era immerso in questi pensieri che cadde il primo dei suoi uomini.

Il raggio del phaser era apparso all’improvviso, lasciando accecati tutti per un attimo; quando gli occhi si furono riadattati all’oscurità, Yanek guardò. Il corpo di Norok, uno dei soldati semplici, era a terra. La sommità della testa non c’era più, e un orrendo arabesco di sangue si stava allargando sul terreno.
"A terra! Schema difensivo! Fuoco di copertura!" gridò con voce rauca, mentre continuava a sparare verso il punto da cui era partito il fascio di luce. Dalle variazioni cangianti all’estremità del proprio campo visivo capì che i Jem’Hadar dovevano disporre di qualche dispositivo di occultamento. Dannazione! Finora non ne aveva mai sentito parlare. Un conto era occultare una nave: ma come poteva esistere un dispositivo così piccolo da essere portato su una sola persona?
Intanto i soldati si erano messi schiena contro schiena, le armi in pugno, i volti ancora più pallidi del colorito grigiastro della loro razza. Stavano marciando lungo una specie di canalone roccioso, e il colpo poteva essere provenuto da dovunque. Yanek sentì su di sé gli sguardi carichi di speranza dei suoi sottoposti, e improvvisamente si sentì responsabile della loro vita. E della loro morte.
Capì in un lampo di trovarsi in una missione suicida. La mappa che gli era stata fornita tracciava un percorso per il quale sarebbero stati vulnerabilissimi. Probabilmente, mentre i Jem’Hadar erano impegnati con loro, gli eroi di questa missione stavano piazzando mine con tutta comodità attorno all’impianto di trasmissione.
A loro onore e gloria, pensò.
A noi solo un nome sulla lapide di una fossa comune.

La battaglia fu rapida e cruenta. Non fu nemmeno una battaglia: fu un massacro. Nonostante tutti gli schemi difensivi, le tattiche, le armi all’avanguardia, caddero a uno a uno. Yanek fu colpito a una gamba, cadde a terra sbattendo la testa e per lui divenne tutto nero. "Almeno è finita", pensò, mentre precipitava nella seducente oscurità dell’oblio.
Invece si risvegliò, con l’odore della morte nelle narici. Vide i suoi uomini sparpagliati a terra, in posizione impossibili. Vicino a lui giaceva Damar, che tentava di respirare senza riuscirvi. Arrancando sui gomiti Yanek lo raggiunse, e vide lo squarcio nel petto. La cosa peggiore, per Yanek, fu vedere l’espressione di terrore e di delusione negli occhi di Damar. Non diceva nulla, ma gli occhi sembravano gridare "perché?!?"... e anche Yanek avrebbe voluto una risposta.
"Non preoccuparti, Damar. Adesso arriveranno i soccorsi. Stai calmo. I Jem’Hadar devono aver pensato che fossimo morti... invece siamo vivi... adesso stai calmo e non cercare di parlare... vedrai che adesso verranno a salvarci..."

Due giorni dopo, Damar morì. Nessun soccorso era stato inviato da Cardassia. Yanek non poteva alzarsi in piedi, e a causa della denutrizione iniziava a vederci sempre peggio. I corpi dei suoi compagni erano sempre lì, nella stessa posizione, e lui non poteva fare niente. Cardassia non avrebbe mandato soccorsi; li aveva dimenticati.
Più volte meditò di togliersi la vita col pugnale d’ordinanza, ma non ne ebbe la forza.
Fu al settimo giorno che si materializzarono attorno a lui alcuni ufficiali terrestri della Flotta Stellare.
"Non si muova", gli dissero. "Ora la portiamo via con noi."
"Ma..." protestò Yanek, in dubbio se gli uomini attorno a lui fossero un’allucinazione, "i miei compagni... dovete salvarli..."
"Lei è l’unico sopravvissuto. Mi dispiace. Dobbiamo portarla subito in infermeria e curarla, o anche lei potrebbe non farcela. Coraggio. Dopo tornerà tutto come prima."
 



"Ma nulla fu più come prima. Come avrebbe potuto? Fu durante quei sette giorni di agonia, disteso immobile a terra, che compresi quale fosse il destino di morte del mio popolo. L’inutilità di quella guerra, la ferocia del Comando Centrale, gli inutili sacrifici ordinati da un burocrate dietro a una scrivania... Decisi di diventare un rinnegato ed entrai nella Flotta Stellare, abbandonando una lunga tradizione famigliare di militanza nell’esercito di Cardassia". Yanek fece una pausa. "Il resto lo sapete, è scritto sul mio curriculum."
Gli ufficiali della USS Crusader avevano lo sguardo chino a terra. Solo il tenente Raze fissava il cardassiano negli occhi. Stava pensando che, tutto sommato, lui e Yanek non erano troppo diversi fra loro. Entrambi vecchi soldati, entrambi segnati da profonde cicatrici di guerra, quelle dell’animo, che non scompaiono mai completamente... ed entrambi avevano perduto una persona cara a causa di un conflitto armato.
Yanek si rialzò in piedi, e riacquistò la sua gelida compostezza. Si portò davanti al capitano e si rizzò in tutta la sua statura. "Signore, chiedo il permesso di rientrare in servizio."
Kernel fece una lunga, lunghissima pausa. Stava pensando a quanto doveva avere sofferto il suo primo ufficiale. Aprì la bocca ma rimase in silenzio ancora un attimo. Poi sorrise.
"Accordato. Con effetto immediato. Buon lavoro, Numero Uno."

fine


Si ringraziano Kiki, Fenris, Paeghen, Alessio, Simone e tutto l’equipaggio della USS Crusader per aver creato i loro stupendi personaggi.
Se volete leggere altre storie della USS Crusader, collegatevi a http://gioco.net/startrek/crusader