Il racconto di Yanek
Solo quando alzò la testa dal cuscino Damar si rese conto che due bottiglie di kanar erano troppe anche per lui. Il dolore alle tempie fu accecante e lo costrinse a stendersi di nuovo, imprecando contro se stesso e la sua debolezza.
Una mano pesante lo scosse. "Sveglia, soldato. E’ tempo di tornare a marciare."
Fu in quel momento, con la consapevolezza improvvisa che coglie quando ci si sveglia, che Damar si rese conto di non essere a casa sua, nel suo letto, e che ad averlo destato non era stata la voce di sua madre. Stropicciandosi gli occhi, cercò di mettere a fuoco il posto in cui si trovava, una tenda militare da sei di tessuto mimetico - ossia rosso fuoco, visto il colore del pianeta alieno su cui si trovavano.
Il sergente Lars Yanek diede un calcio bonario alla rozza branda del suo sottoposto. "Andiamo, ragazzo. Non vorrai che ti si accusi di essere una mammoletta, vero?" Continuò a girargli attorno, sperando che si levasse, ma senza effetto: Damar si limitava a tenersi la testa tra le mani, ancora stordito dalla sbornia della sera precedente. "Non... credo di essere nelle condizioni di marciare, Lars..."
Yanek aspettò ancora qualche istante, poi perse del tutto la pazienza. "Tanto per cominciare - disse afferrando Damar per le spalle - io per te sono il sergente Yanek. Secondariamente - e stavolta lo sollevò di peso - questo è un ordine, soldato Damar!"
Yanek camminò tenendo sulle spalle il soldato che continuava a lamentarsi, ed uscì dalla tenda. La luce rossa e accecante del tramonto del sole maggiore creava inquietanti ombre rosse. Yanek si avvicinò al ruscello vicino alle tre tende e vi gettò dentro Damar.
Annaspando nell’acqua, gridando per il freddo improvviso, Damar recuperò finalmente la lucidità, e con fatica si portò fino alla sponda. Mentre si sollevava, ansante e gocciolante, guardava Yanek con un misto di sorpresa e collera. Yanek colse la domanda inespressa negli occhi dell’altro e gli rispose: "Certo, oltre che soldato sei anche un mio amico, nonché il più giovane in questa truppa. Ma questo ovviamente non mi dispensa dal trattarti come avrei fatto con qualsiasi altro. Da decenni la mia famiglia educa i propri figli secondo i principi di disciplina dell’esercito Cardassiano." Fece un gesto vago verso se stesso. "Come vedi, con ottimi risultati."
Gli indicò un asciugamano poco distante. "Renditi presentabile e fai colazione, ci sarà adunata fra 5 minuti. Smonteremo le tende e procederemo con il favore delle tenebre verso il punto previsto." Recuperando il suo tono professionale, Yanek fece scomparire qualsiasi ombra di sorriso dal proprio volto. "Scat-ta-re!"
La marcia fu lunga ed estenuante. Chissà se Damar stava meditando sul proprio ingresso nell’esercito, pensò Yanek. Probabilmente quel giovane scavezzacollo lo aveva fatto per ammirazione nei suoi confronti. Ricordava ancora quando da ragazzi giocavano alla guerra, inseguendosi, tendendosi imboscate e colpendosi coi loro giocattoli; lo preferivano di molto ai lunghi processi in mondovisione che la pedagogia cardassiana imponeva come standard di educazione esemplare. Sai che noia. Molto meglio far finta di essere grandi comandanti. A quel tempo Yanek era il più grande e a lui spettava il ruolo di Gul; era lui a decidere le parti di tutti gli altri, spesso scegliendo Damar come suo luogotenente, nonostante fosse uno dei più piccoli.
E anche adesso, in un certo senso, stavano giocando alla guerra. Damar era alla sua prima missione, era così giovane che un paio di volte lo si era sentito chiamare sua madre, di notte, la voce impastata dal sonno. Lo stesso Yanek era molto giovane per la carica che ricopriva, appena venticinque anni; e i suoi soldati erano tutti più giovani di lui. A volte si sentiva come se stesse vivendo in un sogno, o in uno strano olofilm, e stesse solo facendo finta di essere un sergente tutto d’un pezzo, sempre sicuro di dove avrebbe condotto la sua truppa. Ma questo era l’incarico che gli era stato affidato. Con un po’ di fortuna, avrebbero trovato l’impianto di trasmissione seguendo la mappa e l’avrebbero fatto saltare senza troppe difficoltà. Poi sarebbero tornati tutti a casa, sfilando come eroi tra due ali di folla.
Fu mentre era immerso in questi pensieri che cadde il primo dei suoi uomini.
Il raggio del phaser era apparso all’improvviso, lasciando accecati tutti per un attimo; quando gli occhi si furono riadattati all’oscurità, Yanek guardò. Il corpo di Norok, uno dei soldati semplici, era a terra. La sommità della testa non c’era più, e un orrendo arabesco di sangue si stava allargando sul terreno.
"A terra! Schema difensivo! Fuoco di copertura!" gridò con voce rauca, mentre continuava a sparare verso il punto da cui era partito il fascio di luce. Dalle variazioni cangianti all’estremità del proprio campo visivo capì che i Jem’Hadar dovevano disporre di qualche dispositivo di occultamento. Dannazione! Finora non ne aveva mai sentito parlare. Un conto era occultare una nave: ma come poteva esistere un dispositivo così piccolo da essere portato su una sola persona?
Intanto i soldati si erano messi schiena contro schiena, le armi in pugno, i volti ancora più pallidi del colorito grigiastro della loro razza. Stavano marciando lungo una specie di canalone roccioso, e il colpo poteva essere provenuto da dovunque. Yanek sentì su di sé gli sguardi carichi di speranza dei suoi sottoposti, e improvvisamente si sentì responsabile della loro vita.
E della loro morte.
Capì in un lampo di trovarsi in una missione suicida. La mappa che gli era stata fornita tracciava un percorso per il quale sarebbero stati vulnerabilissimi. Probabilmente, mentre i Jem’Hadar erano impegnati con loro, gli eroi di questa missione stavano piazzando mine con tutta comodità attorno all’impianto di trasmissione.
A loro onore e gloria, pensò.
A noi solo un nome sulla lapide di una fossa comune.
La battaglia fu rapida e cruenta. Non fu nemmeno una battaglia: fu un massacro. Nonostante tutti gli schemi difensivi, le tattiche, le armi all’avanguardia, caddero a uno a uno. Yanek fu colpito a una gamba, cadde a terra sbattendo la testa e per lui divenne tutto nero. "Almeno è finita", pensò, mentre precipitava nella seducente oscurità dell’oblio.
Invece si risvegliò, con l’odore della morte nelle narici. Vide i suoi uomini sparpagliati a terra, in posizione impossibili. Vicino a lui giaceva Damar, che tentava di respirare senza riuscirvi. Arrancando sui gomiti Yanek lo raggiunse, e vide lo squarcio nel petto. La cosa peggiore, per Yanek, fu vedere l’espressione di terrore e di delusione negli occhi di Damar. Non diceva nulla, ma gli occhi sembravano gridare "perché?!?"... e anche Yanek avrebbe voluto una risposta.
"Non preoccuparti, Damar. Adesso arriveranno i soccorsi. Stai calmo. I Jem’Hadar devono aver pensato che fossimo morti... invece siamo vivi... adesso stai calmo e non cercare di parlare... vedrai che adesso verranno a salvarci..."
Due giorni dopo, Damar morì. Nessun soccorso era stato inviato da Cardassia. Yanek non poteva alzarsi in piedi, e a causa della denutrizione iniziava a vederci sempre peggio. I corpi dei suoi compagni erano sempre lì, nella stessa posizione, e lui non poteva fare niente. Cardassia non avrebbe mandato soccorsi; li aveva dimenticati.
Più volte meditò di togliersi la vita col pugnale d’ordinanza, ma non ne ebbe la forza.
Fu al settimo giorno che si materializzarono attorno a lui alcuni ufficiali terrestri della Flotta Stellare.
"Non si muova", gli dissero. "Ora la portiamo via con noi."
"Ma..." protestò Yanek, in dubbio se gli uomini attorno a lui fossero un’allucinazione, "i miei compagni... dovete salvarli..."
"Lei è l’unico sopravvissuto. Mi dispiace. Dobbiamo portarla subito in infermeria e curarla, o anche lei potrebbe non farcela. Coraggio. Dopo tornerà tutto come prima."
"Ma nulla fu più come prima. Come avrebbe potuto? Fu durante quei sette giorni di agonia, disteso immobile a terra, che compresi quale fosse il destino di morte del mio popolo. L’inutilità di quella guerra, la ferocia del Comando Centrale, gli inutili sacrifici ordinati da un burocrate dietro a una scrivania... Decisi di diventare un rinnegato ed entrai nella Flotta Stellare, abbandonando una lunga tradizione famigliare di militanza nell’esercito di Cardassia". Yanek fece una pausa. "Il resto lo sapete, è scritto sul mio curriculum."
Gli ufficiali della USS Crusader avevano lo sguardo chino a terra. Solo il tenente Raze fissava il cardassiano negli occhi. Stava pensando che, tutto sommato, lui e Yanek non erano troppo diversi fra loro. Entrambi vecchi soldati, entrambi segnati da profonde cicatrici di guerra, quelle dell’animo, che non scompaiono mai completamente... ed entrambi avevano perduto una persona cara a causa di un conflitto armato.
Yanek si rialzò in piedi, e riacquistò la sua gelida compostezza. Si portò davanti al capitano e si rizzò in tutta la sua statura. "Signore, chiedo il permesso di rientrare in servizio."
Kernel fece una lunga, lunghissima pausa. Stava pensando a quanto doveva avere sofferto il suo primo ufficiale. Aprì la bocca ma rimase in silenzio ancora un attimo. Poi sorrise.
"Accordato. Con effetto immediato. Buon lavoro, Numero Uno."
fine
Si ringraziano Kiki, Fenris, Paeghen, Alessio, Simone e tutto l’equipaggio della USS Crusader per aver creato i loro stupendi personaggi.
Se volete leggere altre storie della USS Crusader, collegatevi a
http://gioco.net/startrek/crusader