Intervista di Metal Hammer
Traduzione di Jadax

PALLE AL MURO 

La vita non è mai stata monotona per i Rammstein: dall’essere cresciuti nella Germania Est comunista, alle persone che pensano che siano nazisti, fino a passare piacevolmente un pomeriggio assolato a Parigi. La band parla a Ian Winwood di cosa vuol dire essere “strani”…

Ci sono due cose che bisogna sapere riguardo Till Lindemann. La prima è che non concede interviste, e la seconda è che non concede interviste. E’ quindi una sorpresa quando vengo presentato a Till Lindemann seduto ad aspettare d’essere intervistato.

“Sì – dice l’uomo della casa discografica che ha orchestrato l’incontro di oggi – Oggi è a disposizione della stampa”. L’uomo calvo della casa discografica mi si avvicina e mi presenta a Till Lindemann. Non c’è stata fino ad ora nessuna parola sul fatto che il più enigmatico cantante della più enigmatica delle band sia seduto davanti a me.

“Ehm… Hello”

“Hello”

“Mi spiace, ma non sapevo che avrei intervistato te oggi”

“Tutto ok. Siediti. Fa’ come se fossi a casa tua”. Queste parole comunque sono le sole in inglese che Till dirà nei prossimi tre quarti d’ora. Seduta a fianco a lui c’è una donna di nome Gabrielle. È la nostra traduttrice. La cosa funziona così: farò una domanda e Gabrielle ripeterà la domanda a Till in tedesco. Il cantante risponderà e Gabrielle scarabocchierà qualcosa in stenografia su un block notes. Poi risponderà alla domanda in inglese. Questo è strano per due ragioni. La prima è che le risposte in inglese sono sempre molto più corte che in tedesco, facendomi chiedere cosa è andato perso, letteralmente, durante la traduzione. La seconda è che è difficile sapere chi guardare mentre succede tutto questo: l’interprete o il soggetto.

Una parola veloce su Till Lindemann. Oggi è vestito interamente di nero, maglietta e jeans. Sta bevendo una piccola tazza di caffelatte di Starbucks. In questo primo incontro è difficile dire a chi assomigli di più, se Mickey Rourke o Herman Munster.

“Per il beneficio dei nostri lettori, saresti così gentile da descrivere l’ambientazione di oggi?”
”Certamente – dice Lindemann mentre si dà un’occhiata intorno – E’ una bellissima giornata e siamo nella splendida città di Parigi. Siamo seduti sul ponte superiore di una barca. Abbiamo soft drinks e una bellissima vista sul Tamigi”.

 “Scusa?”

Till Lindemann abbozza un laconico ed ironico sorriso: “E’ solo un mio piccolo scherzo”. In realtà l’unica parte del “piccolo scherzo” di Till Lindemann ad essere veramente uno scherzo è che siamo sul Tamigi. Il resto è vero, ma siamo sul fiume Senna.  

Bisogna concederglielo: quando i Rammstein fanno qualcosa, lo fanno con stile. La giornata inizia con un treno Eurostar da Waterloo per Parigi. Da lì un taxi attraverso  il traffico caotico della città fino alla Bastiglia. Fuori l’Operà c’è – sì, davvero – un autobus londinese rosso a motore spento. Sul lato dell’autobus, come se fosse la pubblicità di un film o di un qualche prodotto per capelli, c’è la scritta “Rammstein”. Dentro il bus, un branco di giornalisti europei, tutti con addosso delle grosse cuffie e seduti davanti a lettori cd Philips. I walkman sono sigillati e contengono copie del nuovo lavoro del sestetto berlinese, “Rosenrot”. I giornalisti aggrottano le ciglia scrivendo qualcosa sui loro blocchetti. Infine il bus parte. La Torre Eiffel è alla nostra destra. Il nostro veicolo ha una grossa ammaccatura su una delle finestre del piano superiore, dove il giorno prima è andato a sbattere contro un ponte. Domani lo stesso autobus prenderà un’altra infornata di giornalisti per incontrare i Rammstein – sì, ancora – a bordo dell’Orient Express. Oggi però siamo sulla Senna, a pochi minuti dagli Champs Elysèes. È attraccata una barca. Sul ponte inferiore sta suonando “Rosenrot”. I membri del gruppo stanno gironzolando in quello di mezzo. Fuori nell’ultimo ponte attende Till Lindemann.

“Con ‘Reise, Reise’ (l’album dei Rammstein del 2004) ci erano rimaste un po’ di canzoni – dice il cantante – così siamo entrati in studio e ne abbiamo registrate altre. Si potrebbe dire che con il nostro ultimo album abbiamo avuto 11 fantastici giocatori in campo e 7-8 fantastici giocatori in panchina. Così stavolta abbiamo fatto giocare quelli in panchina – che erano ugualmente bravi – e abbiamo comprato 3 nuovi giocatori per unirli alla squadra, i quali sono tutti eccellenti giocatori. Quindi abbiamo un’eccellente nuova squadra per voi”.

“Allora siete felici del vostro lavoro?”  

“Sì, assolutamente”.

In parole povere, ciò vuol dire che “Rosenrot” favorisce la corsa dei Rammstein come insolita, enigmatica, sovversiva ed intelligente rock band di oggi. Il primo gruppo tedesco ad evadere del tutto ed interpretare l’ombra gettata dallo strascico del fascismo, questa è una squadra in grado sia di entusiasmare che di confondere il suo pubblico. L’eccitazione viene dal sound, e da live shows che costano qualcosa come 30.000£ a notte di messa in scena. La confusione proviene dalle persone che sentendo l’hitleriana “rolling r” di Till Lindemann si chiedono se sia un set di Nazisti (la risposta comunque è no). Un concerto in Russia è stato recentemente cancellato a causa del timore che gli Skinheads potessero – sapete – farsi idee sbagliate.

“Ti piace fare le interviste?”

Till Lindemann ride: “No, assolutamente” dice. 

“Perché no?”

“Bè, anch’io leggo le riviste perché voglio tenermi informato sui gruppi che  mi piacciono. Ma non voglio essere la persona a cui vengono fatte tutte quelle domande, perché trovo che sia molto spossante essere così onesto. Così, per quanto riguarda le domande che mi stai facendo, io sto cercando di risponderti sinceramente. Ma se devo dir la verità, sono solo sincero a metà nelle risposte che ti do. Penso che sia molto importante mantenere un parte di me che appartenga solo a me stesso.” 

Ecco ciò che sappiamo su Till Lindemann. Il cantante è nato nel 1963 a Leipzig, nell’allora DDR. È cresciuto nel piccolo villaggio di Schwerin. Come cittadino della Germania dell’Est comunista, fu “spaventato” quando cadde il muro di Berlino il 9 novembre 1989, sentendo come se “fosse la fine del mondo, la fine di tutto ciò che conoscevo.” Prima di allora era stato un nuotatore pronto a nuotare per il suo paese ai giochi Olimpici del 1980 a Mosca, se non fosse stato per un incidente. Voci dicono anche che sia stato espulso dalla squadra durante una visita in Italia, dopo essere sgattaiolato fuori dall’hotel. Lindemann spera di ritirarsi dalla scena nel 2013, all’età di 50 anni. Se volete sapere quanto diversi siano veramente i background dei membri dei Rammstein, allora è alla musica che dovete guardare. Ovunque nel Regno Unito se formi un gruppo musicale i tuoi primi grattacapi sono niente di più che fare un cd demo e cercare un posto come gruppo di supporto al Cadmen’s Dublin Castle o al Sheffield Leadmill. Per Till Lindemann e gli altri membri dei Rammstein questi processi sono stati differenti. Per suonare dal vivo nella DDR c’era bisogno di una licenza. Per ottenere la licenza dovevi tenere un’audizione di fronte ad un tavolo di serissimi ufficiali statali. Queste persone avevano il potere di decidere il vostro immediato futuro. Non sapevano nulla di musica, e gliene importava ancora meno.

“Loro sedevano lì…” e qui Till Lindemann indica un punto gesticolando verso un immaginario tavolo di ridicoli ma sinistri personaggi. Li ascoltavano suonare e poi avrebbero deciso se la band si meritava la licenza oppure no. Se non avevi la licenza, era la fine per il tuo gruppo, perché non ti era permesso suonare dal vivo.

“Ciò significava che le persone lavoravano sodo per ottenere la licenza. Ma voleva anche dire che erano molto più prudenti in ciò che scrivevano e dicevano, perché non volevano che la licenza gli venisse rifiutata. Ma per le band migliori, questo le costringeva ad essere più furbe. Non potevi metterti ad urlare di sovvertire lo Stato, perché loro semplicemente non ti facevano suonare. Per cui bisognava pensare a modi più ingegnosi di dire le cose più “delicate” , in modo da non fargli accorgere di ciò che stavi dicendo”.

I Rammstein sono una band avvolta dell’ambiguità, è a causa di queste esperienze che siete diventati così? Till Lindemann ci mette un secolo a pensarci su. È come se la cosa non gli fosse onestamente mai passata per la testa prima.

“Non lo so – dice – Potrebbe ben essere che le nostre strutture mentali provengano da lì, sì. Se non ti è permesso parlare a voce alta di ciò che pensi veramente, trovi altri modi per dire quello che vuoi dire”.

Si può anche metterla così: “’Fanculo, farò finta di fare quello che mi dici”. 

Da qui salta fuori ogni cosa. Saltano fuori le tante sfumature che i Rammstein hanno a disposizione. Salta fuori il fatto che questa sia una band che può essere vista in innumerevoli modi: o come un pulsante, anche se inusuale, gruppo metal o altrimenti come un’intelligente e letterata aggiunta alla moderna cultura europea. I Rammstein fanno ciò che fanno con humour e stile. Possono utilizzare il footage di Leni Reinfensthal di “Triumph of the will” – un film di propaganda amato dai nazisti – nel video della loro cover dei Depeche Mode “Stripped”, non perché siano un gruppo Nazional Socialista, perché sono una band intelligente. Acuta. Perfino pungente. Sei ragazzi cresciuti dal lato sbagliato del muro, un muro che esisteva in primo luogo a causa di una guerra finita prima che essi nascessero. Usano stereotipi per far crescere la loro nazione. Usano fuochi d’artificio per segnare punti a proprio favore. Usano l’immaginario sessuale in modo così evidente che perfino Freud avrebbe avuto bisogno di ibuprofene e di distendersi prima di trovarci un senso. I Rammstein sono di sinistra, ma il loro cantante usa il tipo di intonazione preferita da Adolf Hitler. Non sorprende che la gente sia confusa.

“Quale paese ci fraintende di più?”

Sì.

“Dovrei dire che la Germania è il paese che più ci equivoca.” Chi parla, intanto, è l’inverosimilmente alto, inverosimilmente severo chitarrista (bassista) Oliver Riedel. “I Tedeschi sono molto repressi in molti modi. Hanno un senso di vergogna riguardo ciò che successe nella guerra. Questo significa che molte band e molte persone sono un po’ codarde in quello che fanno e in quello che dicono. Perciò se la prendono per il fatto che il nostro cantante “arrota” la r e dicono che stia imitando Hitler e che siamo Nazisti. Questo non ha senso, ma è il modo in cui la pensa un sacco di gente nel nostro paese. Ma noi pensiamo di non essere responsabili di ciò che hanno fatto i nostri padri e i nostri nonni: non è stata colpa nostra. Non c’è sangue sulle nostre mani. Noi non abbiamo nulla di cui vergognarci”.

Al contrario, i Rammstein hanno tutto di cui essere fieri. Hanno la loro musica, una spaventosa ed immediatamente identificabile scintilla di originalità che parla a molte persone, anche se in una lingua che la maggior parte di loro non capisce. Hanno il loro stile, un senso dell’umorismo in accordo coll’altisonante brivido del sound attorno a loro. Hanno la loro essenza, un lato profondamente serio, nascosto – che lo si voglia vedere o no – dietro un muro di fiamme. Hanno tutto, così sembrerebbe. La fila per il sound del mondo libero inizia alla porta. 

RECENSIONE:

RED OR DEAD

Per bello che sia, il nuovo album dei Siystem of a Down “Hypnotize” è in realtà solo la metà di un album, una parte del corpo di lavoro che include anche il suo predecessore “Mesmerize”. Questo più o meno è quello che vi si aspettava da questo album dei Rammstein: una seconda metà “povera” con qualche rimasuglio di “Reise, Reise” che tenta di scavarsi un posto tra alcuni pezzi nuovi registrati in tutta fretta per gonfiare il tutto. Ma quanto ci siamo sbagliati! “Rosenrot”, in particolare la prima metà è certamente compagno dell’album dei Rammstein uscito nel 2004, “Reise, Reise”. Ma se lo si considera nel suo insieme, è un album completamente indipendente, una collezione di canzoni che si basta da sola. La track di apertura “Benzin” è la  perfetta canzone “Rammsteiniana”: cattiva e sporca abbastanza da essere sexy (in senso sado-masochistico), ma anche tanto brutale e “polverizzante”(sempre in senso sado-maso) da incendiare le prime file nei concerti di tutto il mondo. Tipicamente, la musica dei Rammstein potrebbe ugualmente andar bene come colonna sonora di un film porno di serie B dell’Europa dell’est, oppure per una guerra psicologica: provate ad ascoltare uno dei pezzi più forti, Zerstoren, la risposta dei Rammstein alla situazione mondiale, pompare dagli altoparlanti del vostro carro armato mentre marciate attraverso Baghdad (o Washington DC). Le prime 4 canzoni (“Benzin”, “Mann gegen Mann”, “Rosenrot” e “Spring”) – rimangono rigidamente in questo paradigma. L’album si apre poi con la triste e dolente quasi-ballad “Wo Bist Du”, prima di consegnarci la più ovvia e commerciale hit che abbiano fatto, “Stirb nicht vor Mir\Don’t die bifore I do”, nella quale Till Lindemann duetta con Sharleen Spiteri della pop band scozzese anni ’80 dei Texas. Un’accoppiata inusuale in cui la voce graffiante e teutonica di Till si confronta contro la dolce e bianca voce di Sharleen in una canzone che parla di un amore ossessionante e destinato a finire tristemente. Come se i Rammstein non ne conoscessero di diversi. Potrebbe o no essere il duetto che una volta avevano pensato di fare con Madonna, ma visto quanto la stella di Mrs Ritchie sia in decadimento recentemente, Sharleen potrebbe essere stata una partner migliore per portarli nel mondo “vero” dei tabloid delle celebrità e della radio di oggi. Ci sono anche altre stranezze, tipo  la mariachi “Te Quiero Puta” che si apre con dei campionamenti da spaghetti-western ed è liberamente condita con brutti cliché messicani e trombe sintetizzate. Veramente divertante. Chi diceva che i Tedeschi non hanno il senso dello humour? In passato,  gli album dei Rammstein sono sempre stati un po’ insoddisfacenti, perché prodotti e programmati “poveramente”: la loro vera forza risiedeva negli spettacoli dal vivo. Con “Reise, Reise” e ora con “Rosenrot” hanno comunque consegnato al mondo un prodotto di classe senza compromettere né la loro musica “heavy-industrial”, né la lingua tedesca. Forse loro apriranno le porte per dare ad altri gruppi la fiducia di cantare nella propria lingua. I Rammstein non avrebbero davvero senso se cantassero in inglese: il fatto che siano diventati un successo internazionale senza fare alcuna concessione alla dominazione Anglo-Americana della cultura pop dice abbastanza sulla potenza della loro musica.